ISO 690 Cristofaro, E., D., Gli anarchici e il delitto politico tra Italia e Francia (1878-1900), Beccaria, 2022/16 (Vol.18), p. 231–264. URL: https://libreo.ch/revues/beccaria/2021/beccaria-vi-2021/gli-anarchici-e-il-delitto-politico-tra-italia-e-francia-1878-1900
MLA Cristofaro, E., D. Gli anarchici e il delitto politico tra Italia e Francia (1878-1900), Beccaria, Vol. 18, no. 16, 2022, pp. 231–264.
APA Cristofaro, E., D. (2022), Gli anarchici e il delitto politico tra Italia e Francia (1878-1900), Beccaria, 18, no. 16, 231–264.
NLM Cristofaro, E., D.Gli anarchici e il delitto politico tra Italia e Francia (1878-1900). Beccaria. 2022; 18 (16): 231–264.
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Beccaria VI/2022
1 mars 2021

Gli anarchici e il delitto politico tra Italia e Francia (1878-1900)

Vi sarà l’uomo nuovo, felice, superbo.

Colui al quale sarà indifferente vivere o

non vivere, quello sarà l’uomo nuovo.

Colui che vincerà il dolore e la paura,

sarà lui Dio. E quell’altro Dio non

ci sarà più.

Fëdor Dostoevskij, I demoni , 1871.

Su che cosa è fondata la società attuale?

Tende a creare l’armonia tra gli uomini?

Fa in modo che il male che colpisce un

individuo si ripercuota su tutti gli altri,

affinché tutti insieme, con l’unione delle

loro forze, cerchino di diminuirlo o

prevenirlo? […] La società composta

di padroni, re, preti e mercanti permette

la produzione e lo sviluppo di tutte le

idee generose o tende piuttosto a soffocarle?

Jean Grave, La società morente e l’anarchia, 1893.

Anarchia e delitto politico negli studi di Cesare Lombroso

Il 17 novembre 1878, Giovanni Passanante, giovane cuoco trasferitosi a Napoli dalla natia Lucania, attenta alla vita del re Umberto I di Savoia, nel corso di una sua visita alla città partenopea. L’attentato, perpetrato con un coltello e al grido di « Viva la Repubblica Universale! Viva Orsini! », fallisce. Il re e il primo ministro Benedetto Cairoli, che viaggia nella stessa carrozza, vengono lievemente feriti, l’attentatore immediatamente fermato. Durante gli interrogatori, Passanante afferma di aver agito da solo, di non appartenere ad alcuna rete o organizzazione e di essere stato sollecitato dal desiderio di rivalsa nei confronti dell’autorità di Pubblica sicurezza che lo aveva, tempo prima, maltrattato mentre era intento ad affiggere alcuni manifesti di propaganda mazziniana a Salerno1. Lo scal-pore e l’allarme suscitati da questo fatto alimentano il dibattito sui giornali e tra gli studiosi, accompagnando le indagini e il processo con un riverbero che si estende a distanza di anni2 e facendo sì che esso diventi « il punto di avvio della letteratura positivistica in tema di reati e rei politici »3.

Cesare Lombroso aveva trascurato il tema negli studi pubblicati sino a quel momento, se si eccettua un breve riferimento in un saggio quasi coevo al caso Passanante, dedicato ai mezzi idonei a contenere l’incremento del delitto in Italia4. Qui lo studioso veronese aveva affer-mato che l’Italia non era ancora costretta a fare i conti con le rivendicazioni della classe operaia essendo larga parte della sua popolazione dedita ad attività agricole e, dal momento che contadini e braccianti erano perlopiù analfabeti, si sarebbe dovuto attendere il giorno in cui l’estensione del suffragio e l’istruzione obbligatoria fossero divenuti regola generale perché le aspirazioni di elevazione economica e sociale delle classi più disagiate potessero trovare soddisfazione. A tali condizioni, gli internazionalisti avrebbero potuto avere un seguito di simpatizzanti e la loro polemica contro la borghesia un’eco finalmente significativa. Ma, soggiunge Lombroso, sino a quel momento « solo un delirio può far credere sul serio agli internazionalisti di migliorare la società, decimandola; e cominciando col dividere le proprietà, e ad imporsi ai popoli interi con quelle armi del terrore che adoperavano precisamente i despoti, di cui essi pretendono trarre vendetta »5. La scienza, in una delle sue espressioni più luminose quale è il darwinismo, aggiungeva Lombroso, attesta al contrario che in natura non esiste la completa uguaglianza giacché la forza tra gli animali è distribuita diversamente, così come tra gli uomini lo sono il vigore intellettuale e il carattere; inoltre, la medesima dottrina mostra che ogni mutamento stabile avviene attraverso un ciclo di trasformazioni graduali e lentissime, laddove gli internazionalisti « con delle scosse violente, con dei cataclismi pretendono mutare tutto l’organismo attuale »6. Dunque, come capita agli internazionalisti di usare maldestramente il positivismo per dar forza alle proprie idee, così avviene che i delinquenti comuni, al fine di schermarsi dal ribrezzo generale suscitato dal delitto, prendano a prestito la bandiera inter-nazionalista per « scusarlo dinanzi a loro stessi e agli altri, appagando, egualmente, le loro passioni »7.

Lo scarso interesse mostrato da Lombroso per questa categoria di potenziali nemici dell’ordine sociale e delle regole non è, tuttavia, inspiegabile in quel frangente temporale. All’inizio degli anni settanta dell’Ottocento, il movimento anarchico è radicato in Italia e ha un’organizzazione che alimenta un’intensa propaganda insurrezionale. Non di rado, la propaganda si trasforma in azione e gli scontri in cui si concretizza coinvolgono anche figure di primo piano del movimento come Errico Malatesta o Andrea Costa. Ma, se le iniziative anarchiche appaiono spesso velleitarie, anche la replica dello Stato sul piano repressivo e, più specificamente giudiziario, procede con alterni esiti. Tra il 1875 e il 1876 si celebrano quattro importanti processi, con decine di imputati, a Roma, Firenze, Trani e Bologna, per fatti che hanno turbato l’ordine pubblico e destato allarme nel Paese. Le sentenze, però, quasi sempre, tradiscono le aspettative della Pubblica accusa e mandano assolti pressoché tutti gli imputati, le cui azioni vengono giustificate in quanto mosse dall’ansia di riscatto sociale degli ultimi e dei diseredati piuttosto che da finalità terroristiche o cospirative8. Quando, più raramente, ciò non avviene è perché si riesce a marginalizzare la natura politica della rete associativa tratta in giudizio e a considerare gli appartenenti al movimento anarchico come comuni malfattori9. In tal modo, « l’immagine tenebrosa dell’anarchico assassino diventava sempre più inconsistente »10 e con essa svaniva, o almeno si indeboliva, la necessità di offrirne una rappresentazione scientificamente individualizzante ed esaustiva. L’attentato di Passanante rappresenta un decisivo punto di svolta. Esso si colloca su un crinale delicato per la definizione dell’identità disciplinare dell’antropologia criminale e per l’aspirazione dei suoi corifei a farne una disciplina di supporto alla gestione dell’agenda politico-sociale. In quel periodo si situa, infatti, il tentativo di Lombroso di affran-care l’antropologia dal sapere psichiatrico con riferimento alla tipologia dei “mattoidi” o “folli morali”. Definendoli come coloro nella cui condotta convivono « la normalità delle facoltà intellettuali con la perversione dei sentimenti e delle inclinazioni e con il difetto del sentire morale »11. In tal modo, viene costruita una casella nosografica particolare, giacché incentrata su individui che per il sapere psichiatrico non sarebbero considerati malati, su cui l’antropologia criminale reclama prerogative esclusive di conoscenza.

I periti incaricati di stabilire se l’imputato Passanante fosse sano di mente, « cinque fra i più valenti alienisti del nostro paese »12 secondo Lombroso, avevano escluso condizionamenti di natura morbosa sulla sua condotta. Da una disamina della sua biografia, delle risposte rese nel corso degli interrogatori e degli esami subiti, dei suoi scritti e del suo contegno durante il processo, essi avevano ricavato prove di una « singolare prontezza di percezione », di una « forza di mente non comune », di una « ricor-danza perfetta dei fatti più minuti », di idee coerenti e conseguenti13. Certo, la mente del giovane cuoco appariva ingombra di velleità inattuabili e propositi utopistici, ma non vi era niente che rivelasse tracce di delirio allucina-torio o pervertimento dell’affettività o del senso morale14. Nel confutare queste conclusioni, Lombroso si premura di precisare che l’approccio che egli segue, pur fondandosi su una nozione di responsabilità del tutto diversa da quella consueta che permette di imputare un’azione solo se chi la compie è mentalmente padrone di sé, non persegue alcun indulgenzialismo. Anzi, da esso discende « la necessità della pena, e specialmente di quella perpetua, e del seque-stro perpetuo, perfino nei casi di pazzia »15. Non è, dunque, per favorire Passanante che Lombroso, che studia il caso senza mai incontrarlo di persona ma basandosi sui suoi scritti, sulle cronache del processo e su altri materiali di seconda mano, decide di intervenire. D’altra parte, « chi, innanzi, al problema d’un delitto così strano ed assurdo, come il tentativo di uccidere il più caro dei re, il simbolo più eletto dell’ordine e dell’indipendenza nazionale »16, avendone gli strumenti, si sarebbe sottratto alla possibilità di affiancare il giudizio dei periti? Tanto più se tale ulteriore analisi, largamente consonante con quella ufficiale, non si fosse allontanata da essa sul punto cruciale della piena e fisiologica incolumità del reo. Lombroso reputa che il vagheggiare una morte procuratagli dalla reazione popolare al suo gesto e il mantenersi freddo e insensibile davanti al turbamento collettivo provocato indicassero chiaramente in Passanante delle alterazioni del sentimento morale17. Ma, più di tutto, sintomo della sua anormalità era il fatto che un uomo di così bassa estrazione e umili attività occupasse il suo tempo « non nell’ammannire un nuovo intingolo, ma nello scrivere continuamente, nel progettare delle repubbliche ideali »18. In particolare, questo inseguire mete così remote rispetto alla propria condizione materiale e morale, convince Lombroso di trovarsi con Passanante al cospetto, se non di un vero pazzo, « della forma intermedia […] del mattoide »19. Tali individui, « pazzi negli scritti, non lo sono più nella vita civile, dove mostransi pieni di buon senso e di furberia ed anche di ordine »20, sicché solo chi conosce le loro elucubrazioni può intuirne la pericolosità e dolersi, una volta di più, che in assenza dei manicomi criminali, soli luoghi adeguati a costoro, la giustizia debba pendere tra il pronunciare una sentenza necessaria ma iniqua e una più corretta ma pericolosa21. Ancor più pericolosa sarebbe forse apparsa quest’incertezza considerando l’effetto emulativo indotto da taluni crimini. Nei giorni immediatamente seguenti il 17 novembre, a Firenze e a Pisa, si consumano due attentati dinamitardi (il primo contro un corteo monarchico) che uccidono quattro persone22.

Lombroso utilizza nuovamente il “dossier Passanante” quando pubblica, nel 1882, la quarta edizione di uno dei suoi primissimi lavori: Genio e follia23. In questa sede, all’analisi degli scritti si associa una descrizione somatica del mancato regicida: peso inferiore alla media, occhi piccoli e infossati, capo quasi sub-microcefalo, zigomi ipersvi-luppati. Tutti tratti tipici della fisionomia « del mongolo e del cretino »24. L’aspetto esteriore trova conferme nella condotta. Sebbene Passanante sembrasse una persona semplice, parsimoniosa e altruista, non si sarebbe dovuto trascurare che parsimonia e altruismo « sono caratteri speciali dei mattoidi »25 ma, soprattutto, la conferma della sua appartenenza al tipo « mattoide » era dettata dall’enorme salto tra la sua condizione sociale e i suoi obiettivi : « Quando, in un ambiente sì umile, un uomo, senza una speciale educazione, si caccia dietro ad ideali così diversi da quelli della sua classe, è certo anormale »26.

L’attenzione verso i « pazzi criminali » quali possibili « molecole di sedizioso fermento »27 occupa d’ora in poi un posto fisso nell’orizzonte di Lombroso. È una pietra angolare nella costruzione di una « scienza degli anormali, dei diversi, dei mostri » che si pone « a tutela dell’ordine e della stabilità sociale attraverso l’ideologia della diversità »28. Nel 1885 si svolge a Roma il primo Congresso internazionale di antropologia criminale. Nel corso dei lavori, si affaccia la sovrapposizione lombrosiana tra follia morale ed epilessia, con particolare insistenza su una forma larvata di epilessia non caratterizzata da convulsioni. Si viene allargando lo spettro delle tipologie devianti, aumentano le figure intermedie e si intensifica la tendenza a patologizzare l’intera società. Lombroso presenta una relazione sui delinquenti politici, insieme all’avvocato Rodolfo Laschi, ribadendo che in tale categoria allignano rei nati, delinquenti abituali, pazzi mattoidi. Ma introdu-cendo una variante: i delinquenti politici per passione. Non più monomaniaci o fanatici privi di sentimenti morali, ma precursori che meritano rispetto. Individui animati da altruismo e disprezzo verso i despoti, essi impersonano una « devianza positiva » che muove la storia29.

Le tesi anticipate a Roma formano oggetto di un volume scritto a quattro mani da Lombroso e Laschi sul delitto politico e le rivoluzioni. Il delinquente politico vi è descritto come colui che, mosso da impulsi palingenetici e filantropici, seppure con scarsa lucidità, lede il diritto della maggioranza dei suoi concittadini al mante-nimento dell’organizzazione da essi voluta. Le masse sono misoneistiche e tuttavia, può accadere che le minoranze rappresentino il vero e il giusto. In quest’ipotesi, le nuove forme politiche vagheggiate non tarderanno a manifestarsi. Ma non si può forzare il corso delle cose con strappi e scosse, giacché i mutamenti devono maturare nel tempo necessario e palesarsi quando ricorrono tutte le condizioni perché ciò avvenga. Chi pretende progressi troppo rapidi e intempestivi è, giustamente, punito dalla reazione della società.

La legge della maggioranza – scrive Lombroso – è dunque in fondo legge di natura; ed è su questa che lo Stato si basa perché esso in fondo non rappresenta se non la concorde volontà dei cittadini […]. Di qui tutte le sanzioni che mirarono a tutelare l’organizzazione politica come espressione della volontà dei più; finché dei fattori antropologici, fisici o sociali non vi imprimano lentamente, in guisa da non perturbare il sentimento pubblico, un altro indirizzo, dando forza numerica o morale ai fautori di nuove forme politiche30.

La percentuale di fisionomie moralmente dubbie tra i martiri del Risorgimento italiano conferma questa visione. Su 521 casi considerati, Lombroso individua 454 profili somatici normali e solo 64 anomali – di cui 23 con due caratteri degenerativi e 3 con deciso tipo criminale. Mentre nel partito anarchico è possibile trovare « molti tipi di delinquenti »31. Nei ritratti disponibili sui partecipanti alla Comune di Parigi, « una fra le rivolte più antigiuridiche »32, circa la metà di quelli visionati da Lombroso mostra tratti criminali, pazzeschi, feroci. Sempre negli archivi della Prefettura di Parigi, esaminando le schede di 41 anarchici, più della metà evidenziano anomalie. I criminali politici sono tratti al delitto – al regicidio, alla strage – da un’impulsività che li spinge verso condotte « che ripugnerebbero alla maggioranza, ma che riescono talora di utilità per una nazione »33. Questa conclusione sembra lievemente attenuare un postulato sino ad allora dominante nella teoria lombrosiana, ovvero che « coloro che commettono reati politici non possono che essere pazzi o comunque malati »34. In questa fase, Lombroso coglie nelle rivoluzioni anche un senso evolutivo ed apprezzabile. A patto che esse si mantengano distinguibili dalle scomposte ed effi-mere sommosse, viceversa « assimilabili ad atti criminali e come tali fatte proprie dai degenerati », da individui privi di genio e lungimiranza35. L’impulsività dei delinquenti politici viene associata all’epilessia e attestata sintomati-camente da vanità, religiosità, allucinazioni « vivissime e frequenti », megalomania, genialità intermittente36. L’espressione coniata da Lombroso è « epilessia politica » e designa una patologia congenita frequente nei rei politici così come nei novatori religiosi e politici. Il discrimine tra rivoluzioni e rivolte risiede, in definitiva, nel fatto che le prime sono l’esito di un processo lento e necessario, che subisce un’accelerazione e forza le regole vigenti per l’azione svolta « da qualche genio nevrotico o da qualche accidente storico »37 ed è accompagnata dalla tolleranza, se non dal sostegno, della generalità dei consociati; le seconde sono sempre un delitto, « opera di un gruppo limitato di caste o d’individui »38.

L’introduzione di un modello esplicativo collegato all’epilessia consente a Lombroso di spiegare in un’ottica temporanea – un’occasione legata a sollecitazioni esterne di particolare intensità – le azioni di taluni delinquenti sovversivi senza doverli necessariamente classificare come mattoidi o criminali nati. Ma gli consente, su un fondale più ampio, di dare timbro scientifico a una valutazione dif-ferenziale di gruppi e ideologie che ha immediate ricadute politiche. La possibilità di provare che alcuni movimenti sono opera di uomini appartenenti a una classe biolo-gicamente differente conferisce, infatti, legittimità alla discriminazione tra gli uni e gli altri. « La scienza biologica, anatomica, psicologica, psichiatrica, permetterà di riconoscere subito, in un movimento politico, quello che si può realmente convalidare e quello che occorre squalificare »39. In tal modo, Lombroso coglie l’opportunità di porgere ai rappresentanti delle istituzioni, in una fase densa di fibrillazione e di tentazioni autoritarie, uno strumento di stigmatizzazione delle frange politiche più radicali, le cui istanze vengono rubricate all’interno di una sintassi medico-clinica e non storico-sociale. Il positivismo lombrosiano, a quest’altezza temporale, « offrì ai gruppi borghesi, uomini d’ordine e progressisti, l’occasione di sostituire all’antica una nuova “religione laica” rassicurante per rispettabilità scientifica e per nulla ever-siva »40. Ma riuscendo a tenere aperto uno spiraglio alla tesi, quasi pleonastica alla luce del percorso risorgimentale italiano su cui lo studioso spende parole elogiative, che violenza e politica possano talora anche conciliarsi in maniera feconda.

Il volume di Lombroso sul delitto politico genera commenti che veicolano un’attenzione largamente favorevole. Ne scrive Scipio Sighele nel 1891 sull’Archivio giuridico41 e, l’anno successivo, sul Corriere della Sera Augusto Guido Bianchi42. A questo coro di consensi fa da controcanto l’opinione di Gabriel Tarde, sociologo francese che tra il 1900 e il 1904 insegnerà al Collège de France, che aveva già avuto modo di discutere polemicamente le ricerche di Lombroso in occasione del secondo Congresso internazionale di antropologia criminale, svoltosi a Parigi nel 188943. Tarde, che legge l’edizione italiana del lavoro, pubblica le sue osservazioni già nel 1890 sulla Revue philosophique de France et de l’étranger e, due anni più tardi, in una raccolta di suoi scritti. Egli critica il riduzionismo mono-fattoriale secondo cui Lombroso, imputandolo esclusivamente a cause di ordine fisiologico, spiega il delitto. Tale schema, discutibile in generale, gli sembra ancor più inadeguato e sterile sul terreno del delitto politico44. Più analiticamente, Tarde ritiene che sia aporetico qualificare le rivoluzioni come fatti naturali e affermare al contempo che le maggio-ranze popolari sono naturalmente misoneistiche45; che sia poco indicativo stabilire che i mutamenti politici cruenti sono favoriti dai climi caldi se si pone mente al fatto che la gran parte dei delitti di sangue ha luogo nei periodi più caldi dell’anno46; che non vi siano popoli più inclini alla conservazione ed altri più portati alla rivoluzione, giacché ogni comunità umana, secondo le epoche e le circostanze, può essere ora l’una ora l’altra cosa47. Tarde riconosce alla scuola criminologica italiana il merito di aver posto al centro dell’indagine sul delitto l’interrogazione sui moventi soggettivi, ma reputa che tale encomiabile intuizione debba essere valorizzata a fortiori per le azioni violente collettive più che per quelle individuali48. Infine, per quanto Lombroso utilizzi verso il delitto politico le griglie classi-ficatorie coniate nel suo Uomo delinquente, Tarde avanza il dubbio che il diverso giudizio espresso sui martiri del Risorgimento e su quelli della Comune fosse il frutto di una visione alterata dagli « occhiali del patriottismo »49. In generale, Lombroso mostra una natura impulsiva « che lo spinge costantemente, non a commettere delitti, ma a fen-dere a fil di spada nemici intellettuali che lo assediano, e che, sempre tagliati a pezzi, si rialzano sempre in piedi »50.

È possibile, come sostiene Tarde, che Lombroso sen-tisse l’assedio dei suoi avversari scientifici, ma è certo che percepisse intorno a sé le variazioni di un clima politico e giudiziario sempre più incandescente. Nell’ultima decade dell’Ottocento si susseguono, nei principali Paesi europei, decine di atti di natura sediziosa o terroristica, molti dei quali ascrivibili al movimento anarchico. Tale recru-descenza è stata plausibilmente imputata alle condizioni di dilagante miseria della popolazione che esacerbarono l’astio verso le classi dirigenti e l’ordine costituito; al contestuale inserimento di forze di ispirazione socialista nelle sedi della rappresentanza parlamentare, con la conseguente radicalizzazione delle frange più estreme dell’internazionalismo; e, infine, al fatto che gli anarchici consideravano le azioni più eclatanti come un mezzo di pubblicità rispetto alle proprie posizioni, una vera e propria arma di propaganda51. Il primo maggio 1891, si svolge a Roma un’imponente manifestazione organizzata dalle Società operaie e con la presenza, tra gli altri, di Amilcare Cipriani, il “colonnello della Comune”. In seguito agli scontri tra i manifestanti e le forze di polizia, si conta-rono morti e feriti da ambo le parti. Nel processo che ne seguì a distanza di pochi mesi, benché l’imputazione di “Associazione di malfattori” – il cui uso era stato reclamato dal Governo nella persona del Ministro Nicotera, al fine di parificare formalmente anarchia e delitto, e fieramente contestato dalle difese52 – fosse venuta meno in sentenza per tutti gli imputati, vennero comminati quasi ottanta anni di carcere. Sentenze altrettanto severe vennero pro-nunciate in altri coevi processi a Napoli e a Firenze. Molti dei capi del movimento, per sottrarsi al carcere, dovet-tero espatriare53. Nell’aprile 1892 una retata della polizia colpisce decine di socialisti e anarchici torinesi, lo stesso avviene due anni più tardi. I riferimenti, rinvenuti tra le carte della Questura, ad attentati eseguiti in Francia indi-cano l’intenzione di disarticolare quella che si riteneva essere una rete cospirativa di dimensioni internazionali54. Ma l’anno cruciale è il 1894. Tra gennaio e marzo, il governo italiano decreta lo stato d’assedio in Sicilia e in Lunigiana, l’8 marzo una bomba esplode davanti a Montecitorio provocando otto feriti (due dei quali, in seguito deceduti); il 31 maggio altre due bombe esplo-dono nei pressi del Ministero della Guerra e del Ministero di Grazia e Giustizia; il 16 giugno, a Roma, il Presidente del Consiglio Crispi è oggetto di un attentato ad opera dell’anarchico Paolo Lega che gli spara un colpo di pistola.

Crispi resta illeso, l’attentatore viene arrestato e condan-nato a vent’anni di carcere, in un processo che dura una sola udienza, il 19 luglio 1894; il 24 giugno 1894, a Lione, il Presidente della Repubblica francese Marie-François Sadi Carnot viene pugnalato a morte dall’anarchico italiano Sante Caserio; il 19 luglio 1894, il Parlamento italiano approva tre leggi antianarchiche: la 314 inasprisce le sanzioni sul possesso di materiale esplosivo, la 315 introduce restrizioni alla libertà di stampa e agevola la contestazione dei reati di istigazione a delinquere, istigazione all’odio di classe e apologia di reato alle pubblicazioni antigoverna-tive; la 316 estende l’applicabilità del domicilio coatto ai condannati per delitti contro l’ordine pubblico o contro la pubblica incolumità e vieta le associazioni o riunioni a carattere sovversivo55.

Tra le voci che alla Camera si levano a commentare questi indirizzi di politica criminale, quella di Enrico Ferri, che tiene il suo intervento il 7 luglio 1894, esprime una presa di distanza netta tanto dalla violenza anarchica che dalle spinte repressive che agitano la maggioranza parlamentare. Ferri ricorda che ai socialisti ripugna la violenza e che essi considerano l’omicidio un delitto e non un mezzo di propaganda56. Ne segue che le azioni degli anarchici vadano considerate, scientificamente, come l’effetto di tre possibili tipologie delinquenziali: quella del delinquente per tendenza congenita « che ammanta col colore politico la mancanza del suo senso morale »; quella del delinquente squilibrato « che dà al suo squilibrio il colore del tempo »; infine, quella del « fanatico politico »57. Pertanto, le risposte non potranno essere che « il risultato di studi speciali e positivi, caso per caso »58. Ferri lamenta che sotto il pretesto della lotta all’anarchismo si voglia soffocare l’opposizione socialista e le sue legittime rivendicazioni di giustizia sociale ed esprime rammarico nel vedere l’antico patriota Crispi « chiudere la sua vita politica coi mille condannati dai tribunali militari »59.

Ai primi di luglio 1894 risale anche la pubblicazione di un opuscolo, un vero e proprio instant-book, che Lombroso, avvalendosi anche di materiali apparsi nel volume sul delitto politico, dedica agli anarchici. Le categorie analitiche sono già note, la casistica viene arricchita con le più recenti vicende di cronaca. Gli anarchici sono sognatori, i cui delitti sono più comuni e meno politici di quanto essi pensino, giacché pretendono di

raggiungere la meta con ogni mezzo, anche col furto e coll’assassi-nio; credendo, cioè, colla uccisione di poche, spesso innocentissime vittime, che naturalmente desta una reazione violenta in tutti, otte-nere quell’adesione che gli opuscoli e le propagande non riescono a strappare. Qui il delitto e l’assurdo si sposano60.

Le rivoluzioni, sia pure guidate « da uomini geniali o passionati » sono l’esito di processi graduali, le sedi-zioni sono, invece, processi locali e trascurabili ai quali i delinquenti e i pazzi partecipano a causa della loro indole morbosa e della loro insensibilità verso atti « inutili in fondo e sempre criminosi »61 quali regicidi o incendi.

Taluni anarchici presentano i tratti del criminale-nato, secondo Lombroso, ma la maggior parte può farsi rientrare nel tipo “isterico” o epilettico”. Iper-eccitabilità, instabilità umorale, esagerato altruismo, passione fanatica per ideali chimerici sono i tratti ricorrenti della loro fisionomia. In essa rientra Auguste Vaillant, che il 9 dicembre 1893 aveva tirato una bomba nel Parlamento francese. Secondo Lombroso, la sua fragile indole era stata esasperata da una vita di stenti e miseria, di mestieri precari e passioni politiche tanto estreme quanto poco consolatorie. Privo della speranza di poter cambiare il mondo con un libro, si illuse di « poterlo rivoluzionare con gettare una bomba »62. Caso simile quello di Sante Caserio, “regicida” del Capo di Stato francese, probabilmente affetto da epilessia ereditaria ma di forme fisiche così armoniose e precedenti biografici così miti da far escludere in lui i tratti del delinquente-nato. Caserio, cresciuto in un poverissimo ambiente rurale, soffre per Lombroso di un fanatismo monoideistico che lo spinge a un delitto feroce commesso senza turbamento. A dirigere quest’energia avevano contribuito in pari misura le sue tare organiche e le suggestioni della propaganda che avevano infiammato il suo ingenuo altruismo. Egli non poté « passando dal forno alla vita politica, succhiare altro latte che quello che gli fornivano gli anarchici; […] non sapeva delle cose politiche che quanto gli venivano innestando le canaglie anarchiche »63. Ma contro gli anarchici, strana genia di assassini filantropi che uccidono uomini all’impazzata per amore dell’umanità, si dovrebbe, secondo Lombroso, evitare la pena di morte e, in generale, le pene più gravi e ignominiose. Anzitutto, perché se sono pazzi servirebbe il manicomio e, inoltre, perché « il loro altruismo li rende degni di speciali riguardi ».64 Questa regola vale solo per quelli, come Caserio, che Lombroso definisce « fanatici onesti » e non certamente per le bestie umane assetate di sangue che sfogano la loro ferocia nella politica. Piuttosto, la classe politica dovrebbe chiedersi come mai il movimento anarchico, che originariamente arruolava adepti solo tra i peggiori galeotti e invasati, abbia finito per attirare anche persone, sebbene suggestionabili, di più limpida fibra morale. Facendolo, scoprirebbe che la causa della violenza eccitata nel popolo è spesso la violenza da esso subita (non a caso Crispi, tra gli statisti italiani il più incline a usare la forza, è bersaglio di atti violenti) e che brodo di coltura dell’anarchia sono, altresì, l’ignoranza e la povertà, che andrebbero combattute con l’istruzione e il lavoro65. In ogni modo, l’invio al manicomio, almeno degli epilettici o isterici, sarebbe una misura più pratica che una severa detenzione o il patibolo. « Perché i martiri sono venerati; dei matti si ride – ed un uomo ridicolo non è mai pericoloso »66.

Sarebbe, tuttavia, riduttivo osservare il passaggio dal Delitto politico agli Anarchici unicamente alla luce di categorie teoriche e agli esiti di una riflessione scientifica che, costantemente in Lombroso, mette alla prova la sua presa sui fenomeni sociali sottoponendosi a revisioni, distinguo, correzioni e integrazioni. In quegli anni, prende piede in Italia il Partito socialista e Lombroso mostra da subito un interesse verso i temi che ne occupano le rivendicazioni e, nel giro di pochi anni, ne diventa un esponente, eletto nel 1902 al Consiglio comunale di Torino. L’idea che la giustizia sociale, l’ordine, l’armonia siano la conseguenza di un profondo rovesciamento dei rapporti economici e dell’accesso delle masse a primarie condizioni di dignità esistenziale, nella visione di Lombroso si accompagna, però, al voler tener fermo che le ragioni dei comportamenti delittuosi e sovversivi vanno ricavate da indagini somatiche e che, in definitiva, la folla è la sede entro cui si intensificano gli istinti primordiali e gli appetiti più violenti. Cosicché, il « tentativo di interpretare i grandi fenomeni collettivi dell’età contemporanea alla luce del quadro concettuale dell’antropologia evoluzionistica […] non poteva che tradursi in un atteggiamento contradditto-rio costantemente sospeso tra la fiducia nel progresso e un certo scetticismo di fondo »67. Questa tensione, ad esempio avvertibile tra l’ammettere la possibilità che l’istruzione potesse avere un effetto correttivo sull’anti-socialità e la fedeltà al proprio magistero deterministico68, si manifesta molto plasticamente nel diverso rilievo dato alla “com-ponente altruistica” del delitto politico nei due lavori. Se nel 1890 l’eccessivo altruismo dei rivoluzionari, religiosi e sociali, viene fatto oggetto di un giudizio molto secco, che associa tali individui alla categoria dei folli morali69, nel libro del 1894 « lo psichiatra e il socialista » avvertono il sorgere « di uno strano problema »70. Ovvero la difficoltà di conciliare gli ideali palingenetici e di riscatto dell’umanità degli anarchici, ideali la cui bellezza rifulge persino nel discorso pronunciato da Ravachol sul patibolo che Lombroso riprende letteralmente, con la tesi per cui rimane difficile spiegare il successo di un’idea così poco logica e assurda come l’anarchia e il fatto che essa abbia sedotto tanti individui se non ammettendo che anche se l’idea è sbagliata « non lo sono tutti i fondamenti donde parte »71.

Criminalità anarchica e repressione secondo la dottrina francese

Alcuni tra i lettori di Lombroso non lesinano critiche al suo saggio sugli anarchici. È il caso di Ettore Sernicoli, funzionario di polizia romano, attivo tra Italia e Francia, e stimato da Crispi72, che affida le osservazioni elaborate nel corso del suo lavoro a un corposo saggio pubblicato alla fine del 1894. A proposito delle tesi di Lombroso, egli reputa che il movente altruistico non possa limitare il rigore punitivo, perché chi delinque per cambiare il mondo, essendo tale obiettivo inattingibile, sarà sempre più pericoloso di chi ruba o uccide per ragioni individuali, soddisfatte le quali smetterà73. Non meno infelice gli appare l’idea di chiudere gli anarchici nei manicomi allo scopo di ridicolizzarne le ragioni con la condiscendenza ironica che si riserva ai matti. L’anarchismo è, infatti, una manifestazione della lotta di classe, ovvero « della guerra più atroce che l’umanità abbia mai combattuto »74 e nessuna guerra può essere vinta semplicemente ridicoliz-zando il nemico.

Ma è in Francia che le dispute teoriche debordano sul terreno di una pressante emergenza di ordine pubblico e ogni schema, classificazione o proposta deve guardare al conflitto in corso e contribuire a governare le ansie e paure che esso genera. Dal marzo 1892 al giugno 1894 a Parigi vi furono undici attentati in cui morirono una decina di persone. Nello stesso periodo il Presidente della Repubblica fu assassinato, quattro attentatori vennero giustiziati e si adottarono leggi speciali contro i gruppi rivoluzionari. Episodi di violenza di matrice anarchica si erano verificati anche in precedenza, in particolare tra il 1883 e il 1891, ma nel biennio 1892-94 si situa il picco parossistico e, per la scelta dei luoghi e delle vittime, la fase anche simbolicamente più angosciante75. L’11 e il 25 marzo 1892 l’anarchico Ravachol (soprannome, tratto dal cognome materno, di François Koeningstein) fa esplodere due bombe, ferendo cinque persone e causando ingenti danni, presso le abitazioni di due magistrati impegnati in un processo contro tre anarchici per disordini verificatisi l’anno prima a Clichy. L’8 novembre 1892 viene trovata una bomba presso gli uffici di una società mineraria di Carmaux. Trasportata nella vicina stazione di polizia, essa scoppia uccidendo sei agenti. Il 9 dicembre 1893, Auguste Vaillant lancia una bomba dalla galleria della Camera dei Deputati, senza fare vittime, ma seminando il panico tra i presenti. Viene giustiziato il 5 febbraio 1894. La sera del 12 febbraio 1894, Émile Henry lancia una bomba contro il caffè Terminus nei pressi della stazione di Saint-Lazare, uccidendo o ferendo molti degli astanti e ferendone altri successivamente a colpi di pistola. Infine, il 24 giugno 1894 il giovane anarchico italiano Sante Caserio uccide a colpi di pugnale il Presidente della Repubblica francese Carnot in visita a Lione76. Tra l’attentato di Vaillant e quello di Caserio, il Parlamento vara tre leggi (il 12 e il 18 dicembre 1893 e il 28 giugno 1894), le così dette Lois scélérates, che colpiscono la propaganda anarchica, limitano la libertà di stampa, accentuano le sanzioni per l’istigazione a delinquere, irrigidiscono le pene per i delitti associativi. Nonostante le proteste delle opposizioni parlamentari che vedono minacciate le basilari libertà repubblicane, le leggi vengono approvate con rapidità e determinano, in sostanza, la messa fuori legge dell’anarchismo. Da quel momento, promuovere, pubblicizzare, incoraggiare o fare apologia dell’idea anarchica avrebbe potuto implicare il rischio della detenzione sino a due anni. Mentre prendere parte a un’azione violenta, quale che ne fosse l’esito, dive-niva un delitto passibile di pena capitale77.

La dottrina francese non arretra rispetto alla necessità di difendere il Paese dall’assalto anarchico. In un articolo pubblicato nel 1894, Gabriel Tarde descrive l’anarchia come l’estensione a un’intera classe sociale della logica della vendetta primitiva, una vendetta alla massima potenza che, per ironico paradosso, viene propugnata dai più accaniti detrattori del militarismo con metodi che oltrepassano di gran lunga ciò che nel militarismo vi è di più odioso78. All’anarchia, « esplosione di bestia-lità sapiente » (sauvagerie savante)79, Tarde non concede alcuna patente di altruismo o filantropia. Gli anarchici non sono i vendicatori delle classi oppresse dalla tirannia dei borghesi e dei capitalisti. Non hanno costruito tra le classi più disagiate alcuna coesione né alcuna rete soli-daristica. La loro missione è puramente disgregatrice e distruttiva. Essa appare, nel contrasto tra le sue imprese fiammeggianti cariche di odio e la mollezza e l’impotenza imperanti o al confronto con « gli intenerimenti ridicoli di un sentimentalismo teatrale che versa lacrime sulla figlia, la madre o l’amante di un malfattore senza preoccuparsi minimamente delle figlie, madri e amanti delle vittime »80, più forte di quanto sia in realtà. Ma questo dipende dal fatto che la maggior parte degli uomini ha superato lo stadio primordiale della vendetta e vederlo risorgere ha un effetto traumatico. Tuttavia, Tarde reputa che l’epidemia anarchica sia un fenomeno effimero, un « colera di follie ». Una moda tragica ma destinata ad esaurirsi come tutte le mode (e tra queste la criminologia lombrosiana), prima o poi sostituite da altre mode e novità81.

All’indomani dell’uccisione del Presidente della Repubblica Carnot, Alexandre Lacassagne – dal 1880 professore di Medicina legale a Lione, fondatore (e direttore dal 1886 al 1914) della rivista Archives d’anthropologie criminelle – pubblica un volume in cui scompone l’evento analizzandone le singole parti una ad una (dalle circostanze generali del fatto, alla descrizione dell’assassino, alla perizia medico-legale sul cadavere). Il metodo che Lacassagne adotta nel parlare di Caserio non differisce molto da quello di Lombroso. Egli si propone di stabilire il grado di responsabilità dell’autore del reato considerando la sua razza, la sua età, il suo livello di istruzione e le sue relazioni con il mondo anarchico82. La sua analisi tradisce qualche pregiudizio sciovinistico quando scrive che l’Italia è « la terra classica dei crimini di sangue »83, crimini che sono sovente anche un articolo d’esportazione. Ma, poco oltre, essa riacquista un tono asettico e contabile. Caserio è un giovane di vent’anni, ben piantato fisicamente, con normali misure di testa e fronte, fornito di istruzione primaria e dotato di ottima memoria visiva. La sua intelligenza pronta nell’apprendere non si mostra, tuttavia, capace di riflettere, giudicare, paragonare. Il suo carattere è energico, volitivo, coraggioso. L’esecuzione di Vaillant gli infonde rabbia e lo spinge a cercare vendetta. Il suo contegno si mantiene impassibile e privo di cedimenti emotivi anche verso i suoi familiari quando questi gli scrivono. In definitiva, il temperamento è l’aspetto centrale in questo individuo impulsivo, con precedenti familiari di epilessia, di intelligenza mediocre e scarsa affettività84. Si tratta, conclusivamente, di stabilire se Caserio sia responsabile o se sia un folle, un degenerato o un fanatico assassino. Ora, nonostante Lacassagne riconosca, come Lombroso, la presenza della matrice epilettica nel suo contesto familiare, egli ne ridimensiona sensibilmente l’incidenza a causa dell’assenza di sintomi allucinatori, incubi, visioni, crisi.

Il bilancio della sua ricognizione è totalmente oppo-sto alle considerazioni formulate da Lombroso. Secondo la sua valutazione, Caserio non è folle, al più evidenzia alcuni caratteri dei degenerati, che esaltati dalle teorie anarchiche, lo hanno reso un essere antisociale. Egli è un « fanatico assassino », una « bestia umana », pienamente responsabile dei suoi atti e meritevole della pena più severa prevista per i crimini come il suo85.

Altrettanto ostile all’anarchia, ai suoi apostoli e ai suoi riti di purificazione si mostra Alexandre Berard, che da magistrato a Lione si era occupato di anarchia negli anni ottanta e continuerà a farlo, con modalità non meno oppo-sitive, durante il suo mandato parlamentare di deputato, e poi senatore, radical-socialista dal 1893 al 1921. Berard squalifica questa costellazione politica denunciandone la carica puramente negativa e guerresca. L’anarchia è guerra al regime rappresentativo, guerra al socialismo, guerra alle riforme che provano a lenire le piaghe della fame e della povertà, guerra al Parlamento e alla possibilità che degli operai possano eleggervi i propri deputati, giudicata equivalente alla condotta di una madre che facesse pro-stituire la figlia86. L’anarchia non è altro che delitto che si ammanta di idealità politiche per nobilitare le proprie gesta, gli anarchici sono semplicemente un’associazione di malfattori. Tutta la teoria anarchica si riduce a un rozzo principio nichilistico: « fare il male per il male, distruggere per distruggere senza sapere quello che si metterà al posto di ciò che sarà stato rovesciato, senza preoccuparsi di ciò che sarà edificato sui cumuli di rovine della società moderna annientata »87. Al fondo delle folli teorie anarchiche non vi è altro che odio selvaggio e rabbia furiosa e non è un caso che alcuni dei corifei di simile dottrina, prima di diventare dei criminali dinamitardi fossero dei pregiudi-cati per comuni reati contro le persone e il patrimonio. Nel fondo di ogni essere umano, osserva Berard echeggiando alcuni motivi dell’atavismo lombrosiano, sonnecchia un bruto che non ha raggiunto un grado di sviluppo civile e razionale e agisce da preda dei propri impulsi88. È questo che spiega le azioni degli anarchici. Ma, a dispetto della loro forza intimidatoria, un Paese di forti tradizioni democratico-liberali come la Francia, con una composizione sociale maggioritaria di piccoli proprietari, non può temere che esse attecchiscano se non, occasionalmente, in qualche « cervello guasto »89.

René Garraud, avvocato e professore di Diritto penale a Lione dal 1878 al 1924, consegna le sue riflessioni sul tema a un lavoro su anarchia e repressione pubblicato nel 1895. Gli anarchici sono, secondo la sua opinione, una specie a parte. Essi differiscono tanto dai socialisti moderati che da quelli rivoluzionari giacché il loro scopo non è la conquista del potere. Essi, infatti, disprezzano ogni legge ed ogni autorità. La loro dottrina, consistente nella facoltà, riconosciuta a chiunque, di prendersi quel che serve per sopravvivere con ogni mezzo, prevede l’uso disinvolto di incendi, esplosioni, assassini, avvelenamenti. Si tratta di crimini commessi in odio alle istituzioni sociali, per dare una lezione alla società borghese e propagare l’idea anarchica. Ma sono crimini sociali, non crimini politici. I delinquenti anarchici sono, come i pirati, nemici del genere umano. Le loro azioni, sotto il pretesto di attaccare la società nel suo ordine complessivo, in realtà attaccano l’individuo nelle sue più elementari prerogative. Questo fa sì che non si possa parlare di delitti politici ma li si debba qualificare come delitti comuni90. Diversamente da quanti reputano che l’anarchismo abbia una morfologia dissemi-nata e acefala e vada affrontato localmente, Garraud ritiene che la coordinazione tra polizie nella lotta a questa setta sia irrinunciabile, che sia « un dovere internazionale prestarsi reciprocamente assistenza nell’azione giudiziaria contro tali criminali, che sono pericolosi per tutti »91. Egli adotta nella classificazione delle tipologie dei criminali anarchici uno schema che ricalca la tassonomia lombrosiana:

Vi sono, anzitutto, gli esaltati, i fanatici dal temperamento rivolu-zionario; quelli la cui ricettività a subire tutte le sollecitazioni della parola e tutte le intossicazioni della letteratura è estrema […] Vi sono poi gli allucinati, gli squilibrati […] coloro la cui fede non si acquieta che al momento del martirio, i più pericolosi […]. Infine, vi sono i malfattori, gli scassinatori, che coprono col pretesto dell’anarchia le loro rapine e i loro assassini92.

Inoltre, gli anarchici sono perlopiù giovani, in ossequio alla legge generale che vuole che la criminalità politica o sociale si sviluppi soprattutto negli ambienti giovanili e pieni di ardore.

Nell’occuparsi di anarchia, i maggiori esponenti della cultura accademica e scientifica francese si confrontano con il magistero lombrosiano e non disdegnano talora di usare la sua “cassetta degli attrezzi”. Ma, quale che sia la sensibilità ideologica di ciascuno, essi si mostrano com-patti nell’indirizzare all’anarchia in generale o a singoli suoi rappresentanti come Caserio, un inappellabile verdetto di condanna. Mentre la comune casa repubblicana brucia, nessuno avanza il dubbio che i piromani potessero, per motivare il loro gesto, offrire delle ragioni degne di ascolto.

Il crepuscolo del secolo tra simposi internazionali e regicidi

Nel 1896, nel pubblicare la quinta (ed ultima) edizione dell’Uomo delinquente, Lombroso torna a scrivere di Caserio. In realtà, riutilizzando i materiali su di lui già pubblicati nel volume sugli anarchici due anni prima93. Nello stesso anno, si svolge a Ginevra il quarto Congresso internazionale di Antropologia criminale. Nel corso dei lavori, Gerard Anton Van Hamel, professore di Diritto penale ad Amsterdam, presenta una relazione intito-lata La lotta contro l’anarchismo. Il crimine anarchico, uno tra i fenomeni di maggior rilevanza dell’epoca, viene indicato come l’espressione di « un odio profondo contro l’attuale società e un desiderio bruciante di cominciare un’era nuova per la vita sociale »94. Le idee anarchiche, a differenza di altre, provano a imporsi con la forza brutale delle armi e l’esplosione delle bombe. È per questo che i loro sostenitori vanno considerati niente altro che dei criminali. La politica può trarre utilità, secondo Van Hamel, dalla tripartizione lombrosiana dei criminali anarchici in delinquenti per i quali l’anarchia è solo una copertura, individui con tratti patologici e, infine, fanatici95. A patto che si tenga, comunque, fermo il diritto della società a difendersi con ogni mezzo. Se nella delinquenza comune il furto o l’assassinio sono puniti con rigore, non vi è ragione che non lo siano quando l’orizzonte della condotta criminosa è politico: « i moventi anarchici in se stessi non offrono alcuna ragione giustificativa »96. Nello stendere una sintesi dei lavori, Ferri ricorda che Lombroso aveva commentato la relazione di Van Hamel sottolineando che essa propugnava rimedi più severi di quelli della scuola antropologico-criminale italiana. Questa, infatti, esclude la pena di morte per i delitti a carattere politico e predica l’obiettivo di « rendere meno pericolosi ed anche utili gli impulsi spesso generosi di questi fanatici »97. Ferri, dal suo canto, osserva che una riforma profonda e radicale dell’organizzazione sociale sia la migliore difesa contro le violenze dell’anarchismo e che l’igiene sociale sia sempre preferibile alla chirurgia sociale98.

Nuovamente a Ginevra, il 10 settembre 1898, l’anarchico italiano Luigi Luccheni uccide a colpi di pugnale l’imperatrice Elisabetta d’Austria. Luccheni aveva avuto una vita miserabile che gli costò anni di stenti e vaga-bondaggio, dall’infanzia in un istituto per bambini abbandonati alla difficoltà di trovare un lavoro in età matura. Ma il motivo per cui si fosse deciso a compiere un omicidio, e avesse scelto in particolare quella vittima, rimase non del tutto chiarito, al di là del generico rinvio alla visibilità che una simile azione avrebbe prodotto. Di sicuro, una conseguenza del delitto fu la convocazione a Roma di una conferenza internazionale, la prima, sul terrorismo anarchico, i cui lavori si svolsero dal 24 novembre al 21 dicembre. Giacché la morte di Elisabetta (come nel 1894 quella di Carnot) era stata provocata da un anarchico italiano sul suolo straniero, si avvertì la necessità di adottare nella replica la medesima prospettiva internazionale. Ma, in effetti, da qualche anno, i tempi erano maturi perché si avviassero o perfezionassero tra gli Stati europei forme di collaborazione per fare fronte comune contro il terrorismo anarchico. Dal punto di vista legislativo, la conferenza non produsse grandi innovazioni, ma intensificò il raccordo interstatuale in materia di espulsioni, di estradi-zione, di cooperazione tra le polizie e rese alcune tecniche di identificazione e descrizione degli indiziati e imputati, come la misurazione antropometrica di derivazione lombrosiana, pratica corrente presso le autorità di pubblica sicurezza di molti Paesi99.

Mentre la politica europea dibatte sugli strumenti da adottare contro gli anarchici, visti da molti osservatori del tempo quale « setta infernale » o « vera associazione per delinquere internazionale contro i sovrani di tutte le nazioni »100, Lombroso torna sui delitti politici, occupandosi, nel 1899 e nel 1902, di Luigi Luccheni e dell’attentato che il 29 luglio 1900 causa la morte del re Umberto I per mano dell’anarchico Gaetano Bresci. Nel primo caso, Lombroso ritiene operino fattori causali di ordine familiare, ambientale e clinico. Luccheni è « un individuo degenerato e probabilmente epilettico discen-dente da padre alcolista », figlio illegittimo, fu lasciato nei brefotrofi « che sono il vero nido dei delitti e dei morbi più gravi, affidato poi a famiglie poverissime e non sempre morali »101. D’altra parte, individui simili si trovano ovunque e se accade in Italia più che altrove che essi si fac-ciano irretire da dottrine fuorvianti e cedano alla violenza è perché l’infelicità incombe sul Paese e la povertà opprime troppe persone. Dunque, per ristabilire la pace, più che uccidere gli anarchici, bisognerebbe migliorare le condizioni esistenziali degli operai e dei contadini102.

Gaetano Bresci proveniva da una famiglia povera ma riuscì, con caparbietà, a trovare un lavoro che gli con-sentì di vivere dignitosamente. Su di lui ebbero una forte influenza le conferenze anarchiche udite in gioventù, dai sedici anni in avanti. Di intelligenza mediocre, la sua mente non mostrava turbe di alcun tipo ma solo un’accen-tuata iperestesia rispetto agli stimoli esterni che agivano sul suo risentimento. Alla seduzione delle teorie anarchiche, si unì la repulsione per le politiche repressive adottate dal governo italiano alla fine dell’Ottocento contro le fasce più deboli della popolazione103. Sicché, la causa più impel-lente della sua condotta, per Lombroso, si sarebbe dovuta individuare

nelle gravissime condizioni politiche del nostro Paese, le quali sono tali che il solo descriverle, anche a man leggera, basterebbe a farne condannare il pittore; poiché è diventata ora massima delle classi dirigenti, non di guarire i mali che ci guastano, ma di colpire ineso-rabilmente coloro che li rivelano104.

Lombroso non rinuncia, sul finire della sua vita, a collegare le manifestazioni anarchiche a sindromi di natura morbosa e richiama, anche in questa fase, i casi di Passanante, Ravachol, Vaillant, Henry. Ma segnala che il problema non risiede nella psiche malata di pochi individui più che nella possibilità che molti altri, normalmente equilibrati ed onesti, si armino ed attentino alla vita del « più caro dei re » sollecitati dalla miseria economica e dall’incuria politica di un governo che si ricordava degli ultimi solo per bastonarli. Questa drammatica condizione generale faceva sorgere, anche nel giudizio di un fiero avversario dell’amorfismo anarchico come il socialista Lombroso, « l’inquietante figura di un nemico allignante nelle più nascoste regioni della mente di ogni cittadino »105.

Auteurs

Ernesto De Cristofaro

Università degli studi di Catania